La morte, i morti. La soitudine
Si avvicina la “commemorazione di tutti i defunti”
Costretti a parlare dei morti. E della morte
Nonostante tutti i nostri tabù

E’ una battuta risaputa. Un tempo, l’argomento tabù per eccellenza era il sesso. Quel tabù è tramontato. Ma altri tabù sono apparsi nel nostro orizzonte culturale. Il più importante di questi nuovi tabù riguarda la morte. Si può anche parlare della morte. Ma a una condizione: che si tratti della morte degli altri. Della nostra non si può parlare. Perché? Perché non si può. Tabù.

Come folli che vogliono fermare l’arrivo fulmineo della sera

Allora, prendiamo atto che è così. E parliamone, ma tenendo viva la nostra paura di parlarne. Ricorriamo a quel linguaggio obliquo e allusivo che è la poesia.

Ci rivolgiamo a uno dei maggiori poeti italiani del secolo scorso, Giorgio Caproni (1912-1990).

Il fuor di senno

«Non si passa!», quasi
urlava. E teneva
– ritto in mezzo alla strada –
le braccia aperte, quasi
bastasse quella barriera
a bloccare l’irrompere
– fulmineo – della sera.

(Da Il franco cacciatore di Giorgio Caproni)

Parliamo, una volta tanto, di una cosa che tutti, assolutamente tutti sanno. Ma proprio perché tutti la sanno nessuno ne parla. Non c’è nulla di più risaputo di questo: che si deve morire. Perché non si dice mai? Evidentemente se ne ha paura.

Rivediamo la scena immaginata dalla poesia. È un folle, si piazza in mezzo alla strada, vuol impedire di passare. Chi? La sera: allargare le braccia per fermare la sera. Ma la sera viene ed è, dice il testo, un “irrompere”, dunque un venir dentro violento e, per di più, “fulmineo”. 

Il contrasto è totale. Da una parte sta il tentativo nostro di non vedere la morte, al punto che non se ne parla neppure. Dall’altra parte, sta la violenza inarrestabile della morte. 

Patetica e drammatica immagine. Il nostro arrabattarsi contro la morte è il gesto di un folle. Non siamo folli, quando tacendo della morte, pretendiamo di cancellarla? Di fronte al nostro gesto folle sta la realtà cruda della morte. La morte oggi è facilissma e mai come oggi ci si è illusi di non morire. Siamo in folli in mezzo alla strada che, allargate, pretendono di fermare la sera che arriva, fulminea.

Pretendere di fermare la morte è come fermare l’irrompere della sera. Si può dire la stessa cosa in mille altri modi. In un certo senso, tutta la nostra vita, vista in trasparenza, non fa altro che dire questa amarissima e inoppugnabile verità.

Stretti tra le punte del vallo e lo spalto sul mare

Immaginiamo una scena di guerra. Un drappello di soldati si trova tra un catena di montagne e uno strapiombo sul mare. All’orizzonte appaiono strane bandiere. Che cosa possono fare?

Voto

   Bandiere strane, amici,
onnubilano l’orizzonte.

I segni sono incerti.

C’è troppa 
polvere
.

Ma se nemici,
Dio voglia che il nostro fronte
regga

        Dove scampare,
stretti così come siamo
tra le punte del vallo9
e lo spalto del mare?
(Da Il franco cacciatore di Giorgio CaproniI)

Dunque il drappello vede un segno: della bandiere strane all’orizzonte. C’è molta polvere. Forse sono nemici. Se così fosse c’è solo da sperare che il fronte regga; se non regge non c’è più nulla da fare: impossibile fuggire oltre le montagne, impossibile fuggire sul mare, perché c’è uno spalto che impedisce la fuga. 

Di fronte a noi la morte. Questa ci manda un’infinità di messaggi. Sono messaggi incerti, come la polvere sollevata dai nemici oltre l’orizzonte. Abbiamo la fortuna di non essere sicuri che sia proprio “quel” messaggio. È l’unica consolazione. La seconda è che se davvero il segno è quello della morte, ci sono alcuni argini fra noi e lei: il fronte forse reggerà. Ma quando arriverà non si potrà fare nulla. Saremo stretti fra montagne scoscese e uno spalto altissimo sul mare. Voler fuggire allora sarebbe come impedire con le braccia allargare che sera irrompi fulminea su di noi.

In questi giorni andremo al cimitero. Un altro segno che la morte ci manda è la perdita di tante persone care. Vedremo le tombe: quanti amici, quante persone care se ne sono andate!

“Gli amici sono spariti. Tutti”

Escomio

Gli amici sono spariti
tutti. Le piazze
sono rimaste bianche.
Il vento. Un sentore
sfatto d’acqua pentita.
A ricordare la vita,
un perduto piccione
plumbeo, sul Voltone.
(Da Il franco cacciatore di Giorgio Caproni)

Gli amici “spariti tutti”. Le piazze, luoghi ampi dove ci si trova, sono vuoti, non c’è più nulla, puro vuoto, ancora più vuoti, proprio perché sono ampi: lì dove potrebbero esserci delle folle non c’è nessuno.

In quel vuoto, tre annotazioni: il vento e quando c’è vento si scappa via. Un odore: “sentore sfatto d’acqua pentita”, un odore di qualche cosa che sta sfacendosi. La morte si annuncia con il messaggio penetrante dell’odore. Un solo segno vivente, non un uomo, ma un piccione, solo, anzi “perduto” e, per di più, “plumbeo”, su un monumento. Anche ciò che ricorda la vita annuncia la morte: la sua solitudine, il suo aspetto nero. 

Ecco: è la morte. Nulla può impedirne la paurosa presenza.

Post Scriptum. Le feste di questi giorni sono due. Prima, i Santi, poi, dopo, i morti. Ma santi e paradiso interessano quelli che ci credono. La morte tocca tutti. La morte è la grande sorella, l’intrusa che interessa tutti.

Alberto Carrara